La Corte di Cassazione ha recentemente ritenuto responsabile, sotto il profilo disciplinare, un magistrato che aveva accumulato molteplici ritardi, eccedenti il triplo del termine di legge, nel deposito di sentenze ed ordinanze.

Sebbene, ad un primo esame, tali ritardi potessero sembrare  giustificati poiché, nell’arco temporale esaminato, il magistrato era stato assegnato contemporaneamente a plurime funzioni il cui espletamento aveva richiesto un impegno quasi quotidiano nell’attività di preparazione ed espletamento delle udienze, la Suprema Corte ha stabilito che:

Il ritardo grave e/o reiterato nel deposito dei provvedimenti da parte del magistrato integra ex se la fattispecie incriminatrice di cui all’art. 2 del D.Lgs. n. 109 del 2006, attesa l’innegabile tipizzazione dei comportamenti illeciti operata dalla citata norma. Ne consegue che il predetto addebito postula, per la sterilizzazione della sua antigiuridicità, non già la prova, da parte dell’accusa, della violazione dell’obbligo di diligenza, bensì la speculare allegazione, da parte dell’incolpato, di circostanze oggettivamente idonee a dimostrare la specifica giustificabilità dell’altrettanto specifico ritardo che, ove caratterizzato dal superamento di ogni limite di ragionevolezza, si sostanzia in una vera e propria ipotesi di denegata giustizia. La condotta del magistrato, pertanto, integra gli estremi dell’illecito contestato, ledendo il diritto delle parti, o quanto meno di una di esse, alla durata ragionevole del processo”. (Cass. civ. Sez. Unite, 17/01/2012, n. 528)

 

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