La Corte di Cassazione, Sez. II, con Ordinanza del 7 febbraio 2020, n. 2914 ha stabilito che:

“In caso di assenza di relictum, non è necessaria la qualifica di erede ai fini dell’esercizio dell’azione di riduzione. Invero, qualora il de cuius abbia integralmente esaurito in vita il suo patrimonio mediante atti di donazione, sacrificando totalmente un erede necessario, il legittimario che intenda conseguire la quota di eredità a lui riservata dalla legge non ha altra via che quella di agire per la riduzione delle donazioni lesive dei suoi diritti, giacché, non sorgendo alcuna comunione ereditaria se non vi sia nulla da dividere, solo dopo l’esperimento vittorioso di tale azione egli è legittimato a promuovere od a partecipare alle azioni nei confronti degli altri eredi per ottenere la porzione in natura a lui spettante dell’asse ereditario. Il legittimario totalmente pretermesso, proprio perché pretermesso dalla successione, non acquista per il solo fatto dell’apertura della successione, ovvero per il solo fatto della morte del de cuius, né la qualità di erede, né la titolarità dei beni ad altri attribuiti, potendo acquistare i suoi diritti solo dopo l’esperimento delle azioni di riduzione o di annullamento del testamento, e quindi dopo il riconoscimento dei suoi diritti di legittimario”.

 

L’ordinanza in commento aderisce all’orientamento giurisprudenziale prevalente secondo cui la collazione può operare solo nel caso in cui vi sia un relictum da dividere; ciò in quanto la divisione presuppone l’esistenza di una comunione ereditaria che debba essere sciolta.

In altre parole, qualora il defunto abbia esaurito l’asse ereditario con donazioni o con legati o con entrambi assieme, in modo tale che risulti mancante un relictum, non si potrebbe dar luogo a divisione e pertanto neppure a collazione, salvo l’esito dell’eventuale azione di riduzione.

Alla luce di tale pronuncia, considerate altresì le differenze tra l’istituto della collazione (volto a far rientrare astrattamente nell’asse ereditario quei beni appartenuti al de cuius oggetto di donazioni, beni che dovranno essere imputati nel calcolo delle quote ereditarie) e l’azione di riduzione (il cui scopo, invece, è quello di ottenere la determinazione dell’ammontare della quota di eredità spettante al legittimario, nel caso in cui sia stata lesa la quota di riserva), appare opportuno chiedersi:

  • se anche la collazione sia uno strumento di tutela del legittimario;
  • se le due azioni possano coesistere o se, al contrario, la proposizione dell’una (la collazione in sede di azione di divisione) escluda l’interesse ad agire per l’altra (la riduzione).

A tal proposito, la Corte di Cassazione, con sentenza del 29 ottobre 2015, n. 22097, ha affermato che: “il legittimario può esercitare l’azione di riduzione verso il coerede donatario anche in sede di divisione ereditaria, atteso che gli effetti della divisione – nonostante il meccanismo della collazione – non assorbono gli effetti della riduzione”.

Infatti, già con altra precedente pronuncia la Cassazione aveva precisato altresì che: “pur potendo la collazione di fatto comportare l’eliminazione di eventuali lesioni di legittima, consentendo agli eredi legittimi di conseguire nella divisione proporzioni uguali, la contestuale proposizione della domanda di riduzione non può ritenersi priva di ogni utilità: solo l’accoglimento di tale domanda, infatti, può valere ad assicurare al legittimario leso la reintegrazione della sua quota di riserva con l’assegnazione di beni in natura, privando i coeredi della facoltà di optare per l’imputazione del relativo valore” (Cassazione, sentenza 20 marzo 2015 n. 5659).

 

Fonte: Legal Euroconference 3.3.2020

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