Con sentenza n. 376/2016, il Tribunale di Milano, Sezione Lavoro, accogliendo il ricorso proposto da un dipendente pubblico (assistito dall’Avv. Fabio Cioffi), si è recentemente pronunciato in materia di assegnazione temporanea ex art. 42 bis D.Lgv. 151/2001, ritenendo illegittimo il diniego del nulla osta all’assegnazione temporanea, espresso dall’amministrazione di provenienza poiché non specificamente motivato.

Il diritto all’assegnazione temporanea previsto dall’art. 42-bis D. Lgs. 151/01 per i dipendenti pubblici è una forma di mobilità volta a ricongiungere i genitori del bambino favorendo concretamente la loro presenza nella fase iniziale di vita del proprio figlio.

La norma in particolare dispone: “Il genitore con figli minori fino a tre anni di età dipendente di amministrazioni pubbliche di cui all’articolo 1, comma 2, del decreto legislativo 30 marzo 2001, n. 165 e successive modificazioni, può essere assegnato, a richiesta, anche in modo frazionato e per un periodo complessivamente non superiore a tre anni, ad una sede di servizio ubicata nella stessa provincia o regione nella quale l’altro genitore esercita la propria attività lavorativa, subordinatamente alla sussistenza di un posto vacante e disponibile di corrispondente posizione retributiva e previo assenso delle amministrazioni di provenienza e destinazione. L’eventuale dissenso deve essere motivato. L’assenso o il dissenso devono essere comunicati all’interessato entro trenta giorni dalla domanda”.

La predetta disposizione rientra tra le norme dettate a tutela dei valori costituzionalmente garantiti inerenti la famiglia, ed in particolare la cura dei figli minori fino a tre anni d’età con entrambi i genitori impegnati in attività lavorativa.

Invero, lungi dal mirare a riconoscere un beneficio al solo lavoratore (padre o madre), la disposizione legislativa di cui trattasi ha quale finalità primaria quella di consentire ai bambini, ove possibile ed in presenza dei requisiti dalla stessa indicati, di poter avere una maggiore presenza in casa del genitore lavoratore e quindi di garantire la massima unità familiare.

La disposizione in questione rientra tra le norme dettate a tutela dei valori inerenti la famiglia, ed in particolare la cura dei figli minori in tenerissima età con entrambi i genitori impegnati in attività lavorativa, garantiti dagli art. 29, 30, 31 e 37 Cost., i quali nel postulare i diritti-doveri dei genitori di assolvere gli obblighi loro incombenti nei confronti della prole, promuovono e valorizzano gli interventi legislativi volti – come appunto l’art. 42 bis d.lgs. n. 151 del 2001 – a rendere effettivo l’esercizio di tale attività.

Pertanto, una volta appurata la mancanza di ragioni ostative connesse alle esigenze di buona organizzazione e di regolare funzionamento dell’ufficio di appartenenza, e verificata la possibilità dell’inserimento della dipendente in altra Amministrazione, la scelta del lavoratore di godere del beneficio nella prima fase di vita del proprio figlio deve essere assecondata, poiché rispondente alle finalità dell’istituto e coerente con i valori costituzionali a tutela dei quali è predisposto.

 

Il caso deciso dal Tribunale di Milano riguarda l’istanza proposta da un O.S.S. (Operatore Socio Sanitario) assunto presso l’Ospedale Maggiore Policlinico di Milano che, essendo padre di un bambino minore di tre anni, la cui madre vive e lavora in un’altra regione (Basilicata), aveva richiesto l’assegnazione temporanea, per la durata massima di tre anni, presso l’Azienda Ospedaliera Regionale “San Carlo” di Potenza.

L’amministrazione di provenienza, nonostante la disponibilità già espressa dall’amministrazione di destinazione (Ospedale di Potenza) aveva rigettato l’istanza di assegnazione temporanea del dipendente rispondendogli genericamente che: “valutata in particolare le attuali esigenze organizzative e funzionali …., anche in considerazione alla non disponibilità del posto che si renderebbe temporaneamente libero ai fini di una nuova assunzione, non è possibile concedere il nulla osta alla assegnazione temporanea da Lei richiesta”. 

Il Tribunale di Milano, dopo aver ricordato che il beneficio di cui all’art. 42 bis D.Lgs. 151/2001 – pur in presenza dei requisiti imposti dalla legge – non costituisce un diritto incondizionato del dipendente, ma è rimesso alla valutazione relativamente discrezionale dell’Amministrazione in considerazione delle esigenze di servizio della struttura di provenienza e di quella di destinazione, ha tuttavia precisato che “la complessa ponderazione degli interessi (ovvero la tutela della genitorialità da un lato e l’organizzazione ed il buon funzionamento degli uffici dall’altro) deve trovare adeguata esplicitazione nella motivazione del provvedimento impugnato, senza che la mera considerazione delle vacanze in organico possa valere a giustificare la compressione delle prioritarie esigenze di genitorialità …”. 

Il Tribunale di Milano (richiamando parte della giurisprudenza di merito: Tar Lazio 8163/2013; Tar Ancona 266/15; Trib. Novara 29.6.09; Trib. Busto Arsizio 499/2014) ha ribadito l’importanza dell’onere di motivazione specifica delle ragioni poste a supporto del diniego dell’assegnazione temporanea, che non possono esaurirsi in motivazioni di stile o apparenti, “dovendosi analizzare con particolare attenzione la situazione dell’ufficio di provenienza, dandone specificamente conto nella motivazione, al fine di consentire la valutazione se ed in che termini l’accoglimento della domanda porterebbe all’ufficio di appartenenza un concreto, effettivo ed irrimediabile disagio, tale da indurre a ritenere che esigenze di servizio debbano prevalere sulla tutela della maternità, costituzionalmente sancita, e dell’unità familiare, previste dalla norma di cui è invocata l’applicazione” .

Con la sentenza in esame, il Tribunale di Milano ha chiarito la portata dell’obbligo, in capo all’Amministrazione, di motivare il proprio dissenso in modo specifico entro il termine di trenta giorni dal ricevimento dell’istanza, precisando che nel caso di specie, tale obbligo è stato disatteso poiché l’azienda resistente ha specificato le presunte ragioni sottese all’atto impugnato soltanto in sede processuale.

Secondo il Giudice meneghino, infatti, in base a quanto stabilito dall’art. 42 bis D.Lgv. 151/2001, il singolo datore di lavoro ha l’obbligo di motivare il proprio dissenso entro il termine di trenta giorni dalla richiesta avanzata dal lavoratore al fine di consentirgli di verificare l’effettiva sussistenza e rilevanza delle ragioni opposte alla propria istanza anche al fine di valutare l’eventuale opportunità di una azione giudiziale; che, in caso contrario, in caso cioè di ritenuta validità giuridica di un diniego espresso dal datore di lavoro entro il termine di legge in maniera generica attraverso formule di stile e/o apparenti, il singolo lavoratore sarebbe sempre costretto ad adire la competente autorità giudiziaria anche soltanto in via esplorativa per conoscere, in maniera specifica e dettagliata, le eventuali ragioni organizzative ostative alla sua istanza con conseguente sopportazione di oneri di spesa e processuali ingiustificati e per fini estranei a quelli previsti dal nostro ordinamento giuridico”.

Alla luce di tale principio, il Tribunale di Milano ha accolto il ricorso proposto dall’Avv. Fabio Cioffi, ritenendo generica la motivazione posta a sostegno del diniego espresso dall’Amministrazione resistente e comunque, anche nel merito, non sufficientemente provata la sussistenza delle presunte ragioni organizzative, gestionali e funzionali prevalenti rispetto al diritto alla genitorialità.

Trib. Milano n. 376_2016

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